Ti è capitato almeno una volta che qualcuno ti dicesse “Non piangere”?
La nostra cultura ci insegna fin da bambini a trattenere le lacrime in molte situazioni, imparando che piangere non va bene, non è “socialmente accettabile”.
Ancor di più, quando si diventa adulti, il pianto viene letto come un comportamento poco adeguato, legato ad aspetti infantili e di pertinenza più delle donne che degli uomini.
Il pianto, invece, è un meccanismo “adulto”, un sistema molto efficace utilizzato dall’organismo per liberarsi dallo stress e da tensioni di varia origine.
Il nostro corpo è impostato per la sopravvivenza, quindi è bene lasciare che trovi le proprie modalità per superare i momenti di difficoltà, anche attraverso il pianto.
Non è un’azione volontaria e questo spiega il suo valore a livello evolutivo, se piangere fosse un comportamento poco utile per l’uomo, probabilmente si sarebbe estinto.
E invece accade che dopo un pianto tendenzialmente ci sentiamo alleggeriti e l’umore migliora.
E’ come se avessimo un vaso pieno d’acqua e volessimo metterci un bel mazzo di fiori: l’acqua inevitabilmente uscirebbe dal vaso. Noi siamo come il vaso, per permettergli di accogliere il mazzo di fiori, che per noi rappresenta qualcosa di buono, nuove esperienze ed emozioni, dobbiamo prima vuotarlo d’acqua, così come il corpo si svuota di lacrime quando ne ha bisogno.
Il problema è che “liberare il vaso” e piangere comporta che la persona accetti il proprio dolore e provi ad entrarci in contatto, piuttosto che evitarlo, per mantenere un apparente benessere e un’immagine forte di fronte agli altri.
Se limitiamo le nostre emozioni, anche quelle che consideriamo negative, limitiamo la nostra vita. Se decidiamo di anestetizzarci al dolore, sentiremo in modo meno intenso anche le altre emozioni e le sensazioni di piacere che le accompagnano.
Non ci sono regole per essere felici che non passino dall’accettazione di tutti gli aspetti di sé, anche di quelli che vorremmo evitare e che ci provocano dolore, ma solo così si può accedere realmente a qualcosa di diverso.
Un primo esercizio potrebbe essere autorizzarti a piangere e permettere anche a chi hai accanto di poterlo fare, creando con il trascorrere del tempo una cultura nuova, dove l’essere uomini e donne passi anche dal poter piangere senza sentirsi fragili o inadeguati.