Sempre più spesso le ragazze crescono imparando ed essere brave figlie, brave amiche, brave studentesse, assolvendo ai propri compiti nei tempi previsti, fino a quando arriva il momento di costruirsi una famiglia e anche lì cercano di dare il meglio.
Quello che viene trasmesso, a livello familiare e culturale, infatti, è che sia normale che la donna attenda il proprio principe che arrivi a salvarla, facendo crescere l’ideale di un uomo perfetto, che faccia vivere una favola. E come non averla dopo tutto l’impegno messo nel crescere se stesse con tutte le caratteristiche che un principe potrebbe apprezzare?
Così anche nel libro, Victoria incontra il Principe Azzurro che tuttavia da dottor Sorriso, com’era chiamato per il suo essere dolce, brillante, premuroso, pian piano, sempre più spesso, si alterna con il Signor Nascosto, egocentrico ed interessato unicamente ai propri bisogni.
Con il trascorrere del tempo questo porta la principessa ad essere nervosa, ad iniziare a pensare di non essere adeguata, di non riuscire a far felice il Principe e di essere la causa delle loro incomprensioni e dei conflitti che si fanno sempre più frequenti.
Victoria non riesce più a prevedere chi si sarebbe svegliato con lei al mattino e nemmeno chi sarebbe rientrato la sera dopo il lavoro, tanto il Principe era imprevedibile e la cosa peggiore era che conosceva ogni cosa che la principessa gli aveva confidato: i pensieri più intimi, le paure e i sogni, che sapeva usare per ferirla.
Tuttavia, ogni volta, Victoria sapeva che il principe nel profondo era buono, ma che non poteva fare a meno di dire e fare alcune cose quando era sotto “l’incantesimo malefico”, perché solo con un incantesimo poteva giustificare i suoi cambiamenti repentini d’umore e attenzioni.
Nel suo viaggio, dove incontra personaggi tanto curiosi quanto saggi, si accorge che era più il tempo trascorso aspettando il principe azzurro che non quello vissuto in sua compagnia.
Prosegue così il proprio cammino con una consapevolezza nuova, prima tra tutte quella di ridurre la propria onnipotenza, intesa come capacità di cambiare gli altri o di recuperare l’immagine della persona che si era conosciuta e di cui ci si era innamorati.
Ognuno è responsabile delle proprie azioni e non sta a noi salvarlo, nemmeno se questo ci sembra coincidere col ritorno della nostra felicità: faticando da soli e non come coppia la felicità non può essere recuperata.
“La principessa che credeva nelle favole” è un libro da far leggere ad ogni donna, più o meno giovane, in “età da marito” o con un marito già al proprio fianco; in ogni momento della propria vita è bene che si ricordi che il proprio potere è limitato, solo quando lo si scopre si riesce ad essere vere principesse, anche senza avere un principe azzurro!